Da un anno si sta consumando in Sudan una spietata guerra interna, figlia di una lotta per il potere che sembra aver poco a che vedere con una precisa visione del futuro del Paese e del benessere del suo popolo: più che di articolati progetti politici si tratta di ambizioni di parte, tese al mantenimento di un potere personale militare il più duraturo possibile, che poi si ramificano in interessi politici, strategici ed economici locali, nazionali ed internazionali.
Impossibile non vedere anche il ruolo di Europa ed Italia, a lungo attente alla sola questione dei flussi migratori in transito in Sudan, unica vera priorità per il sostegno accordato al regime che per decenni ha retto il Paese.
Questa dinamica colloca il conflitto, apparentemente locale, nel più vasto quadro della “terza guerra mondiale combattuta a pezzi” che papa Francesco da tempo denuncia.
Il 15 aprile 2023 terminava violentemente il precario equilibrio che, nonostante crescenti tensioni interne, aveva tenuto in vita il TSC-Transitional Sovereignty Council. I due generali ex-alleati nel golpe dell’ottobre del 2021 che ha deposto Abdalla Hamdok, premier per il TSC incaricato di gestire la transizione dopo la caduta del dittatore Omar Hasan Ahmad al-Bashir nell’aprile del 2019, sono oggi a capo di due fazioni contrapposte: le SAF-Sudanese Armed Forces del Presidente del TSC, Abdel Fattah al-Burhan, e le RSF-Rapid Support Forces del vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti.
Il Paese, dopo un anno, è di fatto diviso in tre parti. L’una in mano all’esercito regolare, che si professa custode della transizione che controlla faticosamente gran parte del corso del Nilo, la costa del Mar Rosso con il porto di Port Sudan – ormai capitale di fatto – e parte degli stati del Sud-Est; una seconda, alcuni stati del Sud-Ovest e gran parte del Darfur, è sotto il controllo delle RSF. Infine, una terza vasta area dispersa nel paese è in mano a varie forze ribelli legate a neonati interessi, antichi raggruppamenti ed eterodosse fedeltà locali, venate di identificazioni etniche spesso estese oltre-confine. Le maggiori città sono contese, anche la capitale Khartoum: un anno fa una delle maggiori megalopoli d’Africa con quasi 7 milioni di abitanti, oggi devastata e spopolata.
I combattimenti hanno condotto ad una delle peggiori crisi umanitarie in corso sul pianeta, la più grave per quanto riguarda gli sfollati: oltre 8,7 milioni di nuovi sfollati di cui più di 2 milioni quelli fuggiti in altri paesi; almeno 13.000 i morti accertati, di certo sottostimati; almeno 11.000 casi colera sono segnalati, l’80 per cento degli ospedali del Sudan è fuori uso e metà della popolazione necessita d’una forma di aiuto ma gli aiuti sono scarsi e in molte aree difficilmente accessibili a causa dell’insicurezza. Il tessuto sociale del Paese è stato fatto a pezzi dalla guerra, la popolazione civile è vittima di violenze dilaganti, bambini uccisi, violentati e reclutati dalle milizie come arma di guerra.
In occasione dello scadere del primo anno di guerra Caritas Italiana ha realizzato il dossier Dossier Sudan_aprile 2024.
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