30 Gennaio 2023

Myanmar (ex Birmania)

Noor Kalima, 7, Parents killed in Myanmar and being looked after by Ajida, 24. Reception centre for Rohingya refugees near Sabrang khai harbour. The new arrivals are kept in pens, often overnight. Rohingya Refugee crisis, Bangladesh, December 2017

Caritas Italiana è presente con progettualità in Myanmar da molti anni, prima con l’assistenza alle vittime dello tsunami, poi con il supporto alle vittime dei cicloni e ora con progetti di accompagnamento e sviluppo.

Con Caritas Myanmar (Karuna Mission Social Solidarity) e alcune Caritas diocesane nel Paese, Caritas Italiana attua progetti di:

  • assistenza alle vittime delle catastrofi naturali, attraverso la rete di coordinamento di Caritas Internationalis;
  • sanità comunitaria e potenziamento delle attività produttive, nella diocesi di Pathein;
  • riforestazione e sviluppo di processi di lavorazione sostenibili, nella diocesi di Mawlamyne.
  • supporto al rafforzamento della Caritas nazionale, attraverso il finanziamento finalizzato alla creazione di politiche e meccanismi di trasparenza.

Nel Paese sono attive anche micro-realizzazioni di sviluppo.

Il Paese

Stato che oggi ospita circa 51 milioni di individui, appartenenti a varie etnie: birmani (69%), shan (8,5%), karen (6,2%), rakhine (4,5%), mon (2,4%), chin (2,2%), e kachin (1,4%). Nel Paese erano presenti una serie di città-stato appartenenti alla cultura Pyu durante il I Millennio D.C., civiltà fortemente influenzata dalle culture indiane e con cui aveva intensi rapporti di scambio commerciale, ne importò la religione buddista. Nel II Millennio si susseguirono una serie di regni a cui subentrarono prima i portoghesi, poi nel corso dell’800, gli inglesi. Durante il dominio di questi ultimi, i birmani si opposero tenacemente ai divieti imposti dai colonizzatori di mantenere le tradizioni buddiste e, in particolare, il rispetto delle regole e dei rituali. La Birmania fu governata unitamente all’India fino al 1937, anno nel quale divenne una colonia amministrata separatamente, per poi diventare indipendente nel 1948.

Da allora la Birmania è stata in massima parte amministrata da giunte militari vicine alla Cina che hanno imposto un regime autoritario e hanno chiuso il paese a commerci e investimenti stranieri. Nel 1990 furono indette delle elezioni generali che furono vinte dal partito guidato da Aaun San Suu Kyi, la National League for Democracy (NLD) con oltre l’80% dei consensi. Malgrado il forte mandato popolare, la giunta militare al potere si rifiutò di cederlo e arrestò la vincitrice delle elezioni. Aaun dopo vicende alterne è stata definitivamente liberata nel 2010, anno nel quale la giunta militare ha iniziato una serie di riforme politiche ed economiche che hanno portato alla progressiva apertura del paese e la National League for Democracy (NLD) al potere dopo le elezioni del 2015.

Nonostante, infatti, i cambiamenti epocali avvenuti nel Paese negli ultimi anni, ancora il Myanmar fatica ad uscire dal periodo post-dittatoriale e le profonde problematiche socio-economiche che si sono radicate fortemente durante la dittatura emergono in tutta la loro violenza, durezza e complessità. La comunità internazionale è molto attiva nel Paese, maggiormente con trattati commerciali ma anche con un’attenzione particolare alle dinamiche di sviluppo e alla protezione dei diritti umani.

La Birmania ospita una serie di minoranze etniche, soprattutto nello stato di Rakhine, in particolare il popolo Rohingya, di religione islamica, al quale non viene riconosciuta la nazionalità birmana dalle autorità. Violenti scontri tra questi ultimi e i Rohingya di religione buddista che vivono nello stesso stato si sono verificati nel 2012. I musulmani accusano il governo centrale di aver fomentato l’odio dei buddisti, e di aver organizzato i pogrom contro di loro.

Una nuova ondata di violenze nei riguardi dei Rohingya è avvenuta a partire dal settembre 2017 (a partire da un attacco inizialmente subito dall’esercito birmano, che ha scatenato una forte reazione militare in tutta la zona) con una intensità che ha preoccupato l’intera comunità internazionale. Masse imponenti di rifugiati sono sfuggite alle persecuzioni e alle violenze rifugiandosi in Bangladesh, dove hanno trovato una prima assistenza, ma certo non un luogo in cui stabilirsi definitivamente. Il loro destino a medio termine sembra ancora molto incerto.

Aggiornato il 12 Ottobre 2024