Esiste un collegamento che non può essere negato tra la produzione e il commercio delle armi e i conflitti che insanguinano il pianeta. Per questa ragione è necessario che vi sia la massima consapevolezza sul percorso che queste armi fanno, soprattutto quelle che rischiano di finire nelle mani di regimi impegnati in azioni di repressione interna o in conflitti armati all’esterno dei loro confini. Per la stessa ragione è necessario che ogni ipotesi di vendita di armi sia accuratamente esaminata proprio per minimizzare il rischio che quelle stesse armi finiscano in mani sbagliate, e per assicurarsi che ogni transazione di questo tipo avvenga nella cornice dei trattati internazionali su questa materia a cui l’Italia ha aderito.
In un percorso che vede la legge 185/90 affermare all’articolo 3 la necessità di predisporre “…misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa”, è importante assicurare la trasparenza di queste transazioni: quali sono i beneficiari delle transazioni finanziarie dietro al commercio di armi? Quali sono le banche, quali gli istituti di credito? Si tratta di una elementare richiesta di trasparenza, simile a quella che pretendiamo di trovare sulle etichette dei prodotti che consumiamo, e che ha permesso negli ultimi anni di stilare una lista delle cosiddette “banche armate”, cioè di quelle banche coinvolte nel commercio delle armi (anche attraverso le risorse depositate in quelle stesse banche da tutti noi…).
Tutto questo (il controllo e la consapevolezza politica dei flussi di commercio delle armi, il rispetto dei principi di rispetto dei diritti umani, la trasparenza delle transazioni) rischia oggi di essere completamente cancellato a causa delle modifiche proposte alla stessa legge 185/90: con il pretesto di una “semplificazione delle procedure”, si rende il commercio delle armi opaco e non tracciabile per l’opinione pubblica, quasi che l’esportazione di un container pieno di bombe possa essere trattato allo stesso modo di un container pieno di formaggio o di frutta. L’Italia continua ad essere uno dei produttori di armi più importanti a livello mondiale, ed è importante – soprattutto nella situazione attuale, nella quale il commercio delle armi è ormai considerato da molti una necessità quando non anche un vero fattore di sviluppo del paese (anche se dati e numeri direbbero altro…) – che si continui a mantenere uno sguardo attento e una prospettiva di trasparenza.
Per questa ragione Caritas Italiana ha deciso di aderire alla campagna di difesa della legge 185/90: non una legge “pacifista” ma una legge che fissa degli standard minimi per un’attività che non può essere trattata alla stregua di altre. Le richieste di questa campagna, promossa dalla rete Italiana Pace e Disarmo sono semplici e minimali, dettate dal buon senso: aumentare il livello di consapevolezza politica sull’export di armi, permettendo una interlocuzione diretta sugli acquirenti di armi italiane che violano i diritti umani anche da parte delle organizzazioni della società civile; integrare la menzione del trattato internazionale sul commercio delle armi, già firmato e ratificato dall’Italia; mantenere un alto livello di informazione e trasparenza sulle transazioni di questo tipo.
Più armi nel mondo, più armi in mani sbagliate sono un pericolo per la sicurezza di tutti. Il commercio delle armi non è un commercio qualsiasi. Ogni cittadina e cittadino ha diritto di sapere qual è il ruolo del nostro paese nel commercio di quelli che anche papa Francesco ha in molte occasioni definito come “strumenti di morte”.
Aggiornato il 26 Maggio 2024